Questo post nasce nella preparazione della festa. E a proposito voglio citare Benty: «Non so quando si dimetterà Berlusconi, ma so che quasi sicuramente la mia reazione conterrà le parole Meu Amigo Charlie Brown». E allora vediamo queste parole. Siamo qui apposta.
Un lascito degli anni Settanta, una canzone che per anni è stata la colonna sonora di capodanni di merda in provincia, da qualche tempo è diventata simbolo di una gioia talmente irrazionale da superare il gusto e il tempo, di slancio, ridendo, sculettando, sì, senza paura di nulla. Si chiama Disco samba, ed è opera del produttore pop belga Lou Deprijck, lo stesso di Ça plane pour moi, di Sylvain Vanholme dei Wallace Collection, e di Yvan Lacomblez, altro autore per Plastic Bertrand. I tre si chiamavano Two Man Sound perché l’ultimo è arrivato in una seconda fase.
Disco samba è quindi una canzone belga. È una canzone belga fatta di oltre venti canzoni brasiliane, con suoni zarri dell’epoca, prodromi già in studio di registrazione degli abbigliamenti di chi avrebbe fatto da vagone per i trenini a venire.
Siccome poi vi voglio pronti, ecco la canzone, verso per verso, tradotta e snocciolata. Sappiate che la pronuncia del pezzo fa schifo, e un po’ delle parole sono pure sbagliate.
Pe-pe-pe-pe-pe-pe, pe-pe-pe-pe-pe-pe, pe-pe-pe-pe-pe-pe, pe-pe Pe-pe-pe etc. si capisce.
Questo pe-pe-pe viene da Taj Mahal di Jorge Ben del 1972, notevole in questa versione del 1976.
Upa neguinho na estrada, upa pra la e pra ca Forza ragazzo nero, in strada, forza, di qua e di là
Virgem, que coisa mais linda, upa neguinho començando a andar Santo cielo, che meraviglia il ragazzo nero che comincia a camminare
Upa neguinho è una canzone andante, di Edu Lobo e Gianfrancesco Guarnieri, che nasconde dietro all’aria sbarazzina un contenuto politico: il regime militare brasiliano controllava e discriminava i giovani neri, e il brano li sprona a non farsi schiacciare. Ecco quel genio di Elis Regina che canta Upa neguinho.
Te-te-te-te-te-te-te, Fio Maravilha, faz mais un pra gente ver Te te te, Grande Filo, fanne un altro, facci vedere
Canzone di Jorge Ben del 1972 dedicata a João Batista de Sales, calciatore del Flamengo, detto “Fio Maravilha”. Fa così, e parla di calcio. Jorge Ben e João Batista de Sales si sono poi scannati dietro all’uso di questo soprannome, così che da un certo anno in poi il pezzo è diventato Filho maravilha. Poi nel 2007 Fio, che vive a San Francisco, ha dato il permesso a Jorge di tornare a usare il suo nome nella canzone.
Te-te-te-te-te-te-te. (Va be’, ci siamo capiti.)
Brigitte Bardot, Bardot. Brigitte beijou, beijou Brigitte Bardot, Bardot. Ha baciato Brigitte. Ha baciato
Na fila do cinema todo mundo se afogou Nella fila del cinema tutti quanti sono annegati (non ho mica capito cosa voglia dire questo, ma ho chiesto a un brasiliano e non lo sapeva)
Comunque viene da una canzone di Miguel Gustavo, che nel 1961 e 1962 scrive due brani dedicati a Bardot: una è Brigitte Bardot, e l’altra è questa geniale lettera a BB di un sedicente latifondista del caffè che si offre di sposarla. Entrambe le canzoni sono cantate da Jorge Veiga, un cantante di una tipologia scomparsa, quella dell’intrattenitore gioviale. Erano cantanti nati e cresciuti nei locali coi tavoli, dove la gente mangiava mentre vedeva lo spettacolo, e avevano uno stile e un repertorio legati a quel contesto. In particolare l’equilibrio tra bravura musicale e comica oggi è scomparso. Ci scriverò un post perché la cosa merita più approfondimento. C’è un filo che unisce Carosone e Bobby Darin: vuoi che non andiamo a tirare questo filo?! (Sì sì, i crooner, ho capito, lasciate fare.)
Comunque ecco Brigitte Bardot cantata da quel genio di Dario Moreno, una specie di Louis Prima ebreo turco poliglotta di cui ricordiamo soprattutto questa perla.
Ay, ay caramba. Ay, ay caramba, ay, ay caramba Ahi ahi, caspiterina, cacchio che storia
Caramba Galileu da Galiléia di Jorge Ben del 1963.
Moro, num pais tropical, abençoado por deus, que bonito por natureza, mais que beleza!! Vivo in un paese tropicale, benedetto da dio e bello di natura, che bellezza!
Pais Tropical di Jorge Ben 1969. Che però in questa versione dell’orchestra di Segio Mendez spacca.
Sou fla fla, O mae-e-e, sou fla fla Sono un tifoso del Flamengo
Apparentemente canzone degli stessi Two Man Sound, cantata in portoghese con un accento terrificante. Interessante che della gente belga faccia una canzone il cui senso è «io sono un tifoso di una squadra di calcio di Rio». Facile che venga dalla curva del Flamengo, storpiata. Tutto a posto.
La-la-la-la-la-la-la-laaa Brasil, Brasil La-la-la Brasile (lo so che si capiva, ma mi fa ridere scriverlo)
Questa è Aquarela do Brazil di Ary Barroso, del 1939. La sapete a memoria. Gal Costa la canta così. Terry Gilliam così.
Você abusou, tiro partido de mim, abusou Tu mi hai trattato male, ti sei preso gioco di me, mi hai trattato male
Canzone di Antonio Carlos Jobim e Jocafi, Você Abusou. Classico intramontabile di enorme popolarità in Brasile. Dice una cosa triste, ma la dice sorridendo, la dice innamorata, la dice che non può fare a meno, e anche per questo è una grande canzone. In versione spessa, eccola.
Na-na-na, neegaa, neegaa, neegaa, de obalubae-eee Na na na, negra di Obaluaê
Nega de Obaluaê di Wando (1973). Obaluaê è una cosa che ha a che fare con la macumba.
Na-na-na-naa, na-na-na-na-na-na naa, quero de novo cantar Na na na, voglio cantare ancora
Tristeza di Jair Rodrigues del 1966. Molti se la ricorderanno cantata da Ornella Vanoni. È uno di quei capisaldi della rappresentazione della saudade: «Tristezza vai via, ché la vita è allegria», e intanto l’armonia ti dice «Dai, prepara il nodo scorsoio». Che è un po’ come quando i Ragazzi cantavano I’m down, e facevano i pendolini con la testa. Come fai a ridere quando sai che sono triste? Eh, se fai il pendolino! Eh, perché sto di merda, ma ci ho scritto una canzone e faccio un po’ lo scemo, perché se no non ce la faccio.
Eeeeeeeeh, meu amigo Charlie, uh-uh-uh-uuhh, eeeeeeh, meu amigo Charlie Brown Amico mio, Charlie Brown
Charlie Brown di Benito De Paula, 1974. Baffi notevoli.
O-le-le O-la-la pega no ganzé pega no ganzá O-le-le O-la-la dacci dentro col ganzé, dacci dentro col ganzà
Festa Para Um Rei Negro, ancora Jair Rodrigues (1971). Bambine spagnole, signori con camicie, lo stesso Jair a Te lo do io il Brasile di Beppe Grillo nel 1984 coi suoni di merda del tempo e molti altri interpretano questo classico inno da stadio o festa.
Mariana, Mariana, que saudade da quela linda bahiana Mariana, che nostalgia di quella bella baiana
Non ho trovato l’originale. Potrebbe anche dire bahiana e non Mariana. Boh.
Oooooooh, oh-oh-oh-oh, bahiaaaaaano, oba, oba, oba Ooooooh, oh-oh-oh-oh, baiano, oba, oba, oba, oba
Questa è Mas Que Nada di Jorge Ben. L’ha cantata anche questa signora qui, l’ha fatta Sergio Mendes nel 1966 trasformandola in un successo internazionale, l’hanno ricicciata i Black Eyed Peas, che sinceramente potevano anche fare a meno.
Por isso agora deixa estar, deixa estar, que eu vou entregar, você Per questo adesso lascia stare, lascia stare, che lo dico in giro come ti comporti
Antonio Carlos Jobim e Jocafi, ancora loro. La canzone si chiama Desacato. È in fondo a questo medley dove sono bellissimi, e canta Elis.
Ole, oleee, ola, o Flamengo está botando pra quebrar. Olé, il Flamengo spacca tutto.
Altra roba tradizionale rifatta/calcistica rimessa a posto dai belgi.
E poi la melodia che mormorano in fondo non la so. Di solito a quel punto qualcuno ha già messo un pezzo dei Queen.
Concludiamo dicendo che i brasiliani hanno una cultura musicale popolare che fa impressione. Poi finisci in Brasile o a Lisbona, dove ci sono Brasiliani che suonano nei baretti di Baixa, e vedi suonare della gente normale, anzi forse scarsa, non quelli dei dischi e dei concerti, e soprattutto vedi cantare dei brasiliani normali che sono lì in vacanza. E allora dici va bene, sono marziani. Oppure trovi questo video. E vedi decine di migliaia di persone che vanno a tempo, coi rallentando, l’intenzione, l’intonazione, il tempo: non stanno urlando, stanno cantando roba sincopata tutta accompagnata in levare, roba che da noi fai Obladì Obladà e si va fuori tempo che è una bellezza.
Insomma, Disco samba è un’accozzaglia fatta di brandelli di meraviglie. Adesso lo sappiamo: il valore era nascosto bene, ma c’è. Adesso possiamo ballarla tutta: sereni, sbronzi, postmoderni, seminudi, promiscui, felici di esserci levati di torno “l’uomo del monte di Venere” qua sopra.
ps – Questo post è pieno di roba. Se vedete refusi vari, segnalate che poi correggo. Grazie.